Molte sono le difficoltà che una famiglia si trova a dover affrontare e la malattia e il lutto rappresentano le esperienze per antonomasia della fragilità umana, della finitezza dell’essere.

L’amore che lega i componenti della famiglia rende la sofferenza e l’angoscia per un familiare malato, soprattutto se bambino (figlio, nipote) o anziano (genitore, nonno), più forte e lacerante e fa sì che la famiglia sia “da sempre l’“ospedale” più vicino” che presta le prime cure e lenisce le ferite fisiche e spirituali.

Quel male del corpo e quel male dello spirito che Gesù si impegna a guarire, senza mai passare oltre, senza mai voltare la faccia da un’altra parte, mettendo da parte il proprio tempo perché “la guarigione veniva prima della legge, anche di quella così sacra come il riposo del sabato (cfr Mc 3,1-6).” Papa Francesco chiede “dove sono le porte davanti a cui portare i malati sperando che vengano guariti!” nelle nostre grandi città contemporanee sempre più indifferenti alle richieste di aiuto di un padre, di una madre, di persone amiche o sconosciuti disperati?

Gesù istruisce ed incarica i discepoli di portare avanti la sua opera donando loro il potere di guarire: “ecco il compito della Chiesa! Aiutare i malati, non perdersi in chiacchiere, aiutare sempre, consolare, sollevare, essere vicino ai malati; è questo il compito” e per farlo è necessaria la preghiera continua per i propri cari e per tutti, con vera fede e senza cedimento come quella donna pagana che supplica Gesù di guarire sua figlia perché

una mamma, quando chiede aiuto per la sua creatura, non cede mai; tutti sappiamo che le mamme lottano per i figli

Per far fronte alla malattia si compiono spesso attenzioni che il Papa definisce eroiche: trascorrere le notti insonni per curare o semplicemente stare accanto al familiare malato e il giorno dopo andare a lavorare con il volto stanco sono “eroicità nascoste che si fanno con tenerezza e con coraggio”, eroicità che vanno trasmesse in famiglia in quanto insegnano ad affrontare la sofferenza e a vivere, comprendendola, l’esperienza del limite.

Contro l’indifferenza della nostra società, c’è bisogno di un’educazione che non inaridisca il cuore tenendoci al riparo dalla sensibilità, ma di un’educazione al valore della solidarietà e della fraternità. La famiglia, nella prova della malattia, non va lasciata sola. La vicinanza cristiana, da famiglia a famiglia, è “un tesoro di sapienza, che aiuta le famiglie nei momenti difficili e fa capire il Regno di Dio meglio di tanti discorsi! Sono carezze di Dio.” che arricchiscono anche la comunità ecclesiale.

Carezze di Dio che vanno elargite con altrettanta compassione in quel tempo che riguarda tutti, senza eccezione, e fa parte della vita: l’esperienza della morte, del lutto.

Quando viene a mancare un familiare la morte “non riesce mai ad apparirci naturale”, anzi genera in noi un grido straziante, un moto di repulsione, un’incapacità di accettazione, un buco nero senza spiegazione pieno di dolore e rabbia che spesso porta a “dare la colpa a Dio”.

Quando muore un figlio è come se si fermasse il tempo, non c’è passato e non c’è futuro, perché “contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa” facendo cadere in una voragine le promesse, i doni e i sacrifici d’amore affidati “alla vita che abbiamo fatto nascere”.

Allo stesso modo si resta paralizzati ed ammutoliti di fronte alle domande del bambino, del figlio, rimasto solo perché ha perso uno o entrambi i genitori “Ma dov’è il papà? Dov’è la mamma?” – Ma è in cielo” – “Ma perché non lo vedo?”. Domande che generano angoscia in chi le pronuncia ed impotenza in chi le ascolta perché spesso non si ha ancora l’esperienza o la capacità di “dare un nome a quello che è accaduto”.

Tutte le volte che la famiglia nel lutto trova la forza di custodire la fede, “essa impedisce già ora, alla morte, di prendersi tutto”. Invocando il Signore, che non ci abbandona mai, come diceva l’apostolo Paolo siamo in grado di togliere alla morte il suo “pungiglione” che avvelena la vita, rende vani gli affetti e ci fa cadere nel buio: “Dio mio, rischiara le mie tenebre!

È nella fede in Colui che ha vinto la morte che i nostri cari non si dissolvono nell’ombra, nell’oscurità, nel nulla, perché

la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio

La fede ci sostiene e genera “una più forte solidarietà dei legami famigliari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità”.

E’ questa stessa fede che, inoltre, “ci protegge dalla visione nichilista della morte, come pure dalle false consolazioni del mondo, così che la verità cristiana «non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere, cedendo ai riti della superstizione, antica o moderna» (Benedetto XVI, Angelus del 2 novembre 2008). Papa Francesco fa notare, infatti, come la morte fisica abbia anche dei “complici” peggiori di lei: l’odio, l’invidia, l’avarizia e tutti i peccati che lavorano per la morte e la rendono ancora più dolorosa ed ingiusta. “Pensiamo all’assurda “normalità” con la quale, in certi momenti e in certi luoghi, gli eventi che aggiungono orrore alla morte sono provocati dall’odio e dall’indifferenza di altri esseri umani. Il Signore ci liberi dall’abituarci a questo!

La vicinanza vera a chi è in lutto si esprime non negando il diritto al pianto – “dobbiamo piangere nel lutto, anche Gesù «scoppiò in pianto» e fu «profondamente turbato» per il grave lutto di una famiglia che amava (Gv 11,33-37) – piuttosto attingendo dalla testimonianza di tante famiglie che hanno colto nel dramma l’ancora del Padre e facendoci “complici operosi” di Dio con la nostra fede nella promessa della risurrezione “quando la morte sarà definitivamente sconfitta in noi […] dalla croce di Gesù”.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/index.html#audiences

http://www.movimentovitamilano.it/famiglia-le-difficolta-malattia-lutto/